mercoledì 3 ottobre 2018

Su Furrighesu de Campu ‘e Nades



Non si finisce mai di apprendere. E di immaginare. E di sorprendersi. E di capire. E di scoprire. E di provare emozioni nuove e sconosciute. Che tracimano quando un mondo arcaico ci rivela la sua civiltà. La sua nobiltà. La sua grandezza. La sua dignità. La sua forza. E la sua attualità. Tutto nasce da una chiacchierata tra amici. Piero possiede un documento storico che cita la presenza de unu furrighesu, piccola grotticella scavata sulla roccia di epoca prenuragica. Ha cercato di localizzarla nel tempo senza risultati. Nessuno tra i proprietari della zona indicata nel documento ne ha mai sentito parlare. Fino ad una chiacchierata con Tonino. Questi ne ricorda l’ubicazione esatta, grazie alle indicazioni fornitegli dal padre quando era poco più di un bambino. Nel tempo ha più volte rivisto la celletta funeraria e non ha dubbi sulla corrispondenza con quella citata dal documento. Sono felice di far parte del trio che in qualche modo riscopre un’antica documentazione della nostra cultura. Una bella mattinata autunnale fa da cornice alla nostra escursione. Ci accompagna Dick uno splendido setter impegnato nella perlustrazione del territorio alla ricerca di tracce di selvaggina. La rugiada che imperla l’erbetta comprova una nottata umida scaturita dall’autunno incipiente. Nuvole appena accennate stemperano la foga dei raggi del sole. Dopo un tratto a bordo del fuoristrada riprendiamo il percorso a piedi. Ci addentriamo in un bosco costeggiando il percorso del fiume (riu riu). La macchia mediterranea prorompe impetuosa complice un’estate straordinariamente piovosa. Querce, lecci, ontani, biancospini, rovi di ogni genere ci costringono a mutare costantemente direzione per raggiungere la meta. Non è facile trovare l’obiettivo del nostro viaggio immerso in una folta vegetazione che si è infittita in seguito al progressivo abbandono delle coltivazioni e all’assenza del bestiame. Alla fine Tonino manifesta la sua soddisfazione. “Eccolo” ci dice, mentre ci avviciniamo, non senza sorpresa, ad ammirare questo splendido monumento. Frutto della raffinata perizia costruttiva di una comunità attenta e sensibile alla devozione e al culto di chi ci lascia. Ci avviciniamo in silenzio. Anche Dick sosta rispettoso davanti all’imbocco e non osa profanare questo luogo di culto. Rapiti e deferenti sostiamo davanti a quel piccolo sepolcro scavato sulla roccia. Presente secondo Giovanni Lilliu (La civiltà dei sardi, Eri, 1967) nella nostra isola in zone diverse e distanti tra loro tra le quali “Dorgali ( Mariughia e Canudedda), Abbasanta (Mesu Enas e S’Androne) e nei ripiani granitici di Berchidda (loc. San Salvatore o Furrighesos)”. Procediamo ad una prima ricognizione della nicchia ricavata in una possente roccia di granito. Gli 80 centimetri della porticina di accesso potrebbero essere incrementati attraverso la ripulitura del terriccio accumulato alla base nel tempo. Le misure delle tre dimensioni della grotticella circolare si aggirano sui cento centimetri circa. Ci ha colpito soprattutto l’armonia e la simmetria della volta a cupola; sbalorditiva la scelta di una tecnica che presuppone una particolare maestria per garantire rotondità nelle forme e levigatezza nelle superfici. La necessità di operare in posizione supina all’interno dell’incavo costituisce un ulteriore attestato della competenza dello scultore. Ancora più strabiliante perché questo miracolo artistico è stato realizzato scavando sul granito, roccia notoriamente dura e resistente, con strumenti primordiali. Una vera e propria opera d’arte che si conserva intatta nel tempo. Documentazione di un passato che riemerge disvelando elementi unici, peculiari ed ineguagliabili. Respiriamo a pieni polmoni il clima di sacralità che emana questo monumento architettonico prima di allontanarci emozionati ed entusiasti per aver riscoperto una significativa testimonianza della nostra civiltà.

La trascrizione del documento è stata curata da Piero Modde ed è stata tratta dal Libro di Amministrazione parrocchiale... (1812-1848), pag. 13 r. Dovrebbe essere stato scritto verso la metà del 1700.
"In su logu vulgu naradu sa funtana de messer Giulianu, s’intendedet a benner atta atta a ojos a su canale a pigare a terras de Sisinni Fresu, a torrare caminu caminu mannu a pigare a sas terras de D[o]n Gavinu Pes. Ateru pezzu de terra in su matessi logu, pighende dae su bachile a su Suerzu de su terravinu, passende a su suerzu, logu chi faghet giaru a su riu, bettendesi atta atta a ojos a su canale derettu a badu truliu, falende riu riu, torrende a su canale Pedrosu, alzende a subra rujende su canale, fina a satta de subra, torrende ischina ischina a ojos a sas pinnetas de Cazina, cun su orzale, e faharzu de sa chea de sas Pinnetas a cunfrontare a su badu de su furrighesu, alzende termene termene a pigare a terras de Salvadore Spensatellu".

sabato 1 settembre 2018

La mia banda suona il funky jazz


Una serata estiva promettente. Frizzante, gradevole e stimolante. Foriera di piacevoli esperienze. Lo avverti dall’atmosfera che ti avvolge: sembra fremere leggera e spensierata nell’accogliere i deboli refoli delle brezze serali. Un’amena località di villeggiatura. Turisti festanti. Sazi di sole, ammaliati dal mare, entusiasmati dalle nostre prelibatezze. Cercano, e molti ci riescono, di recuperare le energie e di eliminare le tossine e lo stress accumulati durante interminabili e noiosi mesi di lavoro. Cammino in compagnia di amici. Conquistati dalle bellezze sarde, non possono fare a meno di un soggiorno annuale nella nostra isola. Anni di amore e di amicizia per la nostra regione ed i suoi abitanti. All’improvviso “s’ode a destra uno squillo di tromba” direbbe il Manzoni. Note frizzanti ed intense accompagnate dall’eco delle percussioni. Sempre più chiare e distinte. Acceleriamo il passo incuriositi. Vibrazioni sonore che, nel loro crescente nitore, confermano il marchio di fabbrica. “Ma questa è la funky jazz orchestra” preciso ai miei sorpresi interlocutori. “La banda itinerante del mio paese.” spiego. “La riconoscerei tra mille” concludo orgoglioso. Ci avviciniamo e ci mettiamo in coda alla processione di turisti e di curiosi. L’interesse e l’attenzione sono evidenti e diffusi. I suoni trasmettono felicità, allegria, festosità. I musicisti si muovono in sintonia con le musiche e diffondono quel tocco di perizia e di teatralità che conquista. Qualcuno tra gli ascoltatori, rapito dalle melodie, accenna qualche passo di danza; qualche altro batte le mani o i piedi per accompagnare in qualche modo il ritmo. La sosta presso un bar costituisce l’occasione per una breve pausa. I baristi dispiegano le bevande per gli assetati musicisti e per il folto pubblico di appassionati. Ne approfitto per un cenno di saluto ad Antonio, Raffaele, Agostino, Armando, Domenico e Giovanni tra i primi volti che riconosco. Ricambiano, compiaciuti della nostra presenza, prima di riprendere l’esibizione. Antonio in testa a scandire ritmi e tempi, gli altri, in perfetta sintonia, ad allietare e divertire i presenti. Al termine una stupenda “No potho reposare” suggella, tra l’ammirazione di sardi e continentali, una serata magnifica. La prima banda di strada della Sardegna ormai non ha più bisogno di presentazioni: una serie interminabile di esibizioni nella nostra isola e fuori dai suoi confini testimonia un generale apprezzamento. Non deve stupire, pertanto, il successo delle sue produzioni discografiche, impreziosite dai contributi tra gli altri di Paolo Fresu, Roberto Vecchioni, Bertas, Danilo Sacco, Francesco Piu, Mauro Ottolini e Francesca Tagliabue. In definitiva questa innovativa formazione piace perché con la bellezza dei suoi brani riempie il cuore di vita e di energia. Piace per il fascino delle sue straordinarie sonorità. Piace per la sua freschezza, per la sua originalità e per la bravura dei musicisti. Piace perché allontana le ansie e le preoccupazioni. Piace perché veicola emozioni divertendo e divertendosi. Piace perché possiede una precisa identità ed un ricco programma. Piace perché utilizza una tecnica comunicativa diretta e immediata e, nel diffondere il proprio messaggio, crea un profondo rapporto di interazione, di empatia, di complicità e di compartecipazione.


domenica 29 luglio 2018

Gli occhi di Josephine

Il bagno in mare di oggi mi ha lasciato una sensazione strana. Un retrogusto spiacevole. Amaro. L’acqua sembrava più scura. Quasi intrisa di tristezza. Di angoscia. Le mie mani illividite dalla paura. Il cuore inondato dall’orrore per i mostri che siamo diventati. Quasi inavvertitamente, ma progressivamente. In un crescendo di apatia e di cinismo. Carnefici dei nostri simili. Giustizieri dei più sfortunati. Oppressori dei disgraziati della terra. Apostoli manichei combattuti tra respingimenti e accoglimenti. Fermi nei nostri principi. Incrollabili nei nostri convincimenti. Eppure ci deve essere una terza via tra i due corni del dilemma. Ce la chiede lo sguardo di Josephine miracolosamente sopravvissuta alla malvagità dei suoi aguzzini. Che parla direttamente ai nostri cuori. Senza profferire parole eppure tanto efficace e profondo. Ce lo chiedono i suoi occhi che hanno visto l’inferno della morte e vogliono riassaporare la dolcezza della vita. Quelle gemme chiare sulle quali si sono specchiate tante anime ciniche, avide, indifferenti, sprezzanti. Specchio di stati che dopo aver colonizzato, derubato, depredato, saccheggiato e devastato un continente, non riescono a portare in salvo qualche centinaio di vite umane. Che hanno lasciato colpevolmente annegare negli ultimi quindici anni 34.500 disgraziati. 34.500 corpi che si sono lentamente inabissati senza conforti, senza preghiere, senza onoranze. Identità anonime prive dei più elementari gesti o delle più semplici testimonianze di umanità. Che pesano come macigni nelle coscienze dell’umanità. Vorrei riassaporare la dolcezza dell’acqua che genera la vita e non la toglie. Trarre da quello sguardo vitreo, fisso nel vuoto delle nostre coscienze lo stimolo ad essere migliore. Consapevole che l’amore ha un grande impatto e può, talvolta, concretizzarsi anche attraverso un rafforzato sentimento di fraternità e un rinnovato sguardo di carità.

lunedì 16 aprile 2018

Tessiture di donne di Antonietta Langiu


“Di fronte ad un libro non dobbiamo chiederci che cosa dica, ma che cosa vuole dire… questo perché ciascuno di essi suggerisce una risposta alla domanda sul senso della nostra esistenza”. L’ultima fatica letteraria di Antonietta Langiu, "Tessiture di donne", si inserisce mirabilmente in questa considerazione di Umberto Eco, perché consente ai lettori di ritrovarvi, con il piacere della lettura, la risposta ad un significativa domanda sul nostro percorso esistenziale.
Il romanzo è incentrato su un’originale struttura narrativa nella quale si intrecciano intersecandosi le voci narranti delle due protagoniste, Lisa ed Antonietta. La prosa incisiva si dirama in linguaggi immediati ed essenziali. Il possesso di un ben strutturato bagaglio linguistico consente alla scrittrice di presentare le vicende delle varie protagoniste intercalandole con una sorta di cantuccio prosaico, di manzoniana memoria, nel quale condensare i propri punti di vista. La scrittura evidenzia finezza e ricchezza espressive che hanno il pregio di suscitare il gusto, l’interesse e la partecipazione del lettore. Lisa ricostruisce attraverso la memoria la parabola della sua esistenza caratterizzata da un intreccio fittissimo di gioie e di dolori, di sofferenze e di soddisfazioni, di oppressioni e di redenzioni. Saprà ritrovarsi e trovare le risposte alle proprie inquietudini, solo attraverso il ritorno alla propria terra, alle proprie radici esistenziali. “La terra con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi paesaggi incantati che diventano parte”… di lei. E il suo animo ne uscirà consolato. Le vicende si sviluppano senza inseguire una rigorosa successione degli accadimenti; si evolvono per aggregazioni successive dei fatti raccontati attraverso anticipazioni e ripresi con aggiunte e nuove rivelazioni. L’impasto stilistico, nella sua essenzialità, risulta, pertanto, vivo, ricco ed espressivo.
Libro che incuriosisce, che rapisce, che stupisce, che irretisce e che talvolta intristisce perché permeato da un’aguzza inquietudine, da un sottile velo di malinconia che si smaterializza nel tentativo, riuscito, di comprendere il senso della vita. Possiamo cogliere l’essenza della nostra esistenza solo attraverso la comprensione della sofferenza che si realizza attraverso la compassione (patior cum soffro insieme). Vivere la verità diventa, pertanto, un impegno etico, illuminato dalla presenza dei bambini che stimolano l’amore, l’indulgenza e il rispetto. A questo proposito citerei il bel libro di E Morante (1968) “Il mondo salvato dai ragazzini” che costituisce un inno all’adolescenza e alla sua bellezza, salvatrici del mondo. In entrambi la giustizia, l’uguaglianza, la solidarietà, la fraternità costituiscono i pilastri sui quali edificare un mondo migliore. Il senso della vita consiste nell’ascoltare chi ti cammina accanto e nell'aiutarlo se si trova in difficoltà. Obiettivo non raggiungibile senza l’apporto, il contributo, il coraggio, l’impegno, la determinazione delle donne. Depositarie di parole, di valori, di libertà e di insegnamenti che sanno dare il giusto senso alla vita di tutti. Il morbo della lettura per sua natura dovrebbe essere “infettivo, non difettivo” secondo lo scrittore Erri De Luca. “Tessiture di donne”, incomparabile compagno di scoperte, trasmette e diffonde questo piacevole contagio che rapisce il lettore dalla prima all’ultima pagina. I libri bisogna leggerli e se possibile rileggerli per assaporare le emozioni che suscitano, le curiosità che stimolano, le conoscenze che sviluppano. Bisogna accostarsi alla lettura con la premura, con l’attenzione e con la passione che un orafo dedica alla realizzazione di un gioiello pregiato. Silenzio, impegno, applicazione costituiscono il sottofondo naturale. Dobbiamo annusare i libri per avvertire l’intrinseco incanto che solletica i nostri cuori. Solo in questo caso diventiamo un tutt’uno e, attraverso questo profondo ed intimo rapporto di sintonia e di simbiosi, entriamo a far parte del mondo che rappresentano. Ray Bradbury, nel suo romanzo Fahrenhait 451 del 1951 avvalora l’importanza del romanzo. Un vecchio professore spiega al protagonista Guy Montag che i libri sono essenziali, non perché ispirati alla realtà, ma perché rappresentano la vita e in questo modo ci offrono la possibilità di agire sulla base delle conoscenze apprese. Paradossalmente i libri devono essere vietati per non sprofondare in un mondo di dubbi o di consapevolezze, di incertezze e di sicurezze. Il professore ipotizza un mondo salvato dagli uomini-libro: ciascuno di essi, dovendo salvare il mondo, dovrà farsi carico di salvare un libro. In questo caso metaforicamente mi farei carico di salvare “Tessiture di donne” con questa motivazione: rappresenta un viaggio il cui piacere (in sintonia con Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust) non deriva dalla possibilità di poter scendere alla prima fermata quando si è stanchi o affaticati; consiste, invece, nell’accrescere il divario di conoscenze maturate tra l’inizio e la fine del nostro percorso di meditazione, di lettura e di vita.
Questo libro, per i valori che promuove, per i raggi di luce che irradia, per gli incanti della nostra terra che evoca, aiuta, attraverso una più articolata conoscenza dell’animo umano, a capire il senso profondo della nostra esistenza. Che se riflettiamo bene è l’obiettivo più nobile e più significativo che consegue dalla mirabile magia che scaturisce dalla tessitura delle parole.

martedì 6 febbraio 2018

Pluricandidature o plurinvestiture?




Non se ne parla. Costituisce un diritto acquisito ormai metabolizzato. Tutti i partiti, tranne uno, si sono prontamente adeguati per sfruttarne la potenzialità. Incuranti della logica perversa che stava alla base della sua approvazione. Peraltro espletata in maniera quasi plebiscitaria nei due rami del parlamento. Entusiasmare lo sprovveduto elettore raggirando la sua ingenuità. Ci riferiamo al trucco delle pluricandidature che il nuovo sistema elettorale ha messo a disposizione dei partiti. Esiste una motivazione logica alla base della conservazione di questo privilegio feudale? Non l’abbiamo trovata. Non so se tra i lettori ci sia qualcuno in grado di giustificare questo stratagemma che costituisce una specie di gioco delle tre carte. Scopri/voti Tizio e poi ti accorgi di aver votato Sempronio scoprendo che Tizio si è accasato da un’altra parte. E questo obiettivo lo si persegue attraverso un oculato calcolo del livello di fidelizzazione dei secondi arrivati. Che diventeranno primi in base ad un’accurata analisi del grado di curvatura schienale raggiunta. Forse i votanti potrebbero sconfessare con il voto la filosofia che ha avvalorato questi sistemi perfidi; ma è solo utopia pensare di respingere le logiche perverse e dominanti dei partiti. Avrà ragione quel mio amico che da anni non esprime il proprio voto perché mantiene una postura eretta? Non oso raccogliere questa ipotesi anche se la tentazione è forte. Prepariamoci, pertanto, a discettare, all'indomani del voto, sulla crescente ed allarmante disaffezione degli elettori, indossando l’abituale cilicio di contrizione e d’incredulità.

martedì 2 gennaio 2018

In carrozza si parte



In carrozza, si parte. Da capotreno di lungo corso mi accingo, come tutti voi, ad avviare il frecciavita numero 2018 in partenza alle ore 24.00 del 31 dicembre 2017. Ci attendono 365 scali apparentemente uguali, in realtà diversi, profondamente difformi uno dall’altro. Visiteremo stazioni addobbate di fiori, ne troveremo altre deserte e malinconiche. Entusiasmo e passione si alterneranno con abbattimento e prostrazione. Cuori gentili ed anime generose ci sorrideranno e faranno dimenticare le amarezze e le sofferenze che contrassegneranno i nostri arrivi. Tutto servirà ad arricchire il nostro itinerario: nuove esistenze rallegreranno le nostre soste e inaspettati distacchi affliggeranno le nostre partenze. Alcuni precetti li abbiamo maturati nei viaggi precedenti: la serenità che deriva dalla semplicità, la pace che scaturisce dalla sincerità, l’amicizia che matura nella concordia, l’armonia che discende dalla giustizia. La gioia che, talvolta, zampilla dal sorriso di uno sconosciuto. Sappiamo che non saremo soli in questo viaggio. Ci accompagneranno persone speciali: familiari, parenti, amici e conoscenti che hanno fatto parte del nostro convoglio condividendo gioie e sofferenze, delusioni e gratificazioni. Alcuni sono scesi alle fermate precedenti. Ferite strazianti e dolorose. Si sono ineluttabilmente e, talvolta, incomprensibilmente avvicinate all’uscio determinando un vuoto incolmabile nei nostri cuori. Siamo, però, certi che continuano ad influenzare le fatiche del nostro viaggio; il ricordo e la testimonianza del loro cammino contribuiscono a fortificare la nostra personalità. Un percorso esperienziale che trascorre senza tregua e si salda e si stratifica nel tempo e nei nostri cuori. Ed allora buon viaggio a tutti; partiamo fiduciosi verso questa nuova avventura con l’augurio di raggiungere la meta con rinnovata serenità.