La scuola italiana è sottoposta ad ogni genere di
critiche: raramente costruttive, più spesso gratuite e assurde. Non mancano,
poi, i suggerimenti, i consigli e le proposte che tutti si sentono autorizzati
a offrire disinteressatamente. Genitori, casalinghe, sociologhi, giornalisti ognuno è
in possesso di una ricetta magica che, resa operativa, risolverebbe tutti i
problemi di cui è affetta. Il mondo dell’educazione viene, poi, chiamato in
causa quando succedono episodi eclatanti che colpiscono l’opinione pubblica. Omicidi
efferati, episodi inquietanti di spaccio di stupefacenti, incidenti sulle
strade, atti gravi di bullismo, di alcolismo e di violenza soprattutto su donne
e bambini. La risoluzione di questi problemi è risolvibile con la consueta
formuletta “Occorre partire dalla scuola”. Nessuno spiega concretamente come la
scuola dovrebbe risanare problematiche che attengono spesso a comportamenti
malati e deviati o a inefficienze di altri settori della società. Talvolta sono
i politici, e più spesso quelli con maggiore responsabilità, a lasciarsi andare
a giudizi superficiali che stranamente vengono per qualche giorno riportati
sulle prime pagine dei giornali a corto di notizie di rilievo. Per fortuna
spariscono dall’attenzione dei media malinconicamente nei giorni immediatamente
successivi. E’ il caso del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini che ha
ipotizzato la necessità di individuare all’interno del curricolo scolastico un’ora
dedicata al dialogo e alla responsabilità civile e all'ascolto”. Sono
basito. Solo un profano può fare affermazioni tanto superficiali. Tutte le
discipline hanno come presupposti fondamentali del loro essere questi principi
essenziali e imprescindibili. L’ascolto e il dialogo tra alunni e docenti e il
reciproco senso di responsabilità. E questo a partire dalla scuola dell’infanzia
fino all’università. Mi permetto, da operatore scolastico in pensione, di unirmi al coro di genitori, casalinghe, sociologhi e giornalisti per offrire
al ministro la mia ricetta gratuita: “Ministro qualche volta dimentichi i
consigli dei funzionari ministeriali che hanno perso il polso dello stato di
salute della scuola e si affidi, prima di esternare i suoi convincimenti, a chi
responsabilmente e quotidianamente condivide gioie e dolori del variegato
universo educativo: gli operatori scolastici”.
mercoledì 25 novembre 2015
lunedì 23 novembre 2015
Ite mi naro? (Come mi chiamo?)
Ite mi naro? (Come mi
chiamo?) La lingua sarda è sempre stata il veicolo comunicativo utilizzato nelle
nostre discussioni. Nessuna risposta.
Solo un sorriso così armonioso e felice che ti costringe a pentirti di averla
formulata. Quello sguardo radioso racchiudeva, con la semplicità e la purezza
che contraddistinguevano il carattere di mio padre, una risposta articolata che
solo osservandolo con attenzione potevi capire. D’altro canto nell’amore che
nutriamo nei confronti delle persone è insita la capacità di saper leggere attraverso
i loro occhi. “So benissimo come ti chiami.” sembrava rispondere con un tenue
cenno di disapprovazione” Giuseppe è il nome che ho scelto per te per la stima
che ho sempre avuto nei confronti di mia sorella Giuseppina. E per quanto non
riesca a pronunciarlo, a causa di un terribile male, sappi che non dimenticherò
mai i nomi dei miei figli e di tutte le persone care che hanno accompagnato la
mia esistenza”. Questo episodio mi ha fatto riflettere su un pregiudizio,
diffuso tra tante persone che hanno convissuto per brevi o lunghi periodi della
propria vita con questa triste esperienza o fra quanti hanno studiato a fondo
questa terribile realtà. Secondo insigni ricercatori e illustri scienziati le numerosissime
persone affette da questa patologia, sempre più diffusa, perderebbero ogni
forma di consapevolezza e, pertanto, non proverebbero emozioni di alcun tipo.
So per certo che non è così. Lo percepivo scrutando attentamente quel viso che
irradiava una dolcezza rassicurante che la cimosa del male non era riuscita a cancellare.
Quell’espressione si illuminava di felicità tutte le volte che una persone cara
gli rivolgeva la parola. Anche mia nipotina Francesca, che si appresta a
compiere cinque mesi, non saprebbe ripetere il mio nome se le formulassi la
stessa domanda. Eppure il sorriso radioso e felice che mi regala, ogni volta
che le rivolgo la parola, conferma che esiste una stupenda “corrispondenza di
amorosi sensi” che non necessita di spiegazioni, attestazioni o perifrasi. Lo
scintillio di suoi occhi, infatti, avvolge tutte le persone care che la circondano
di un amore immenso, rasserenando il suo universo. L’amore e l’affetto per gli esseri viventi sono
sentimenti che non hanno bisogno di essere codificati per manifestarsi nella
loro pienezza. Non so se questa patologia è genetica, ma se ne rimanessi
affetto avverto i miei congiunti, gli amici e le persone care che potrei non
ricordare i loro nomi e potrei avvertire una diffusa difficoltà a pronunciarli correttamente; nutro, però, un'assoluta consapevolezza che nei meandri più profondi del mio animo si è
sedimentata una sconfinata concrezione di amore nei loro confronti che nessuna
infermità potrà mai rimuovere.
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