Avrà trecento anni” afferma decisamente il perito
agrario. “Scherzi” - replica l’esperto in potatura “Avrà almeno cinquecento
anni; esamina attentamente lo spessore del tronco e mi darai ragione”.
Osservavo divertito il dialogo sorto tra due specialisti in merito all’età di
un monumentale olivo che si staglia di fronte all’ingresso della mia abitazione
di campagna. La maestosità dell’albero colpisce anche l’osservatore più
distratto. Avrebbe potuto tranquillamente trovare accoglienza nel catalogo,
pubblicato anni fa a cura della regione sarda, nel quale erano censiti i
“Monumenti arborei” presenti in Sardegna. Nel raggiungere il sito è il primo
elemento che noto e mi piace immaginare che svolga quasi una funzione di
vigilanza e di protezione sulla dimora. Penso che, questo simbolo di sacralità
e di pace, sia un po’ individualista perché svetta su tutte le piante vicine;
talvolta ravviso una sorta di esibizionismo dovuto all’isolamento quasi superbo
che emana con la sua stazza. Sotto la sua ampia ombra si sono svolte alcune
delle pagine più felici della mia vita. Da piccolo non era infrequente
sistemare i tavolini accanto al tronco per consumare la merenda nelle assolate
serate estive. Il pane cotto nel forno, la ricotta e il formaggio derivate dal
latte delle pecore al pascolo, la salsiccia di carne del maiale allevato con le
ghiande costituivano gli alimenti abituali e ricchi di profumi. Raggiungere la
prima biforcazione dei rami è stata un’esperienza indimenticabile. Avevo letto
le avventure di Tom Sawyer e mi aveva colpito ed entusiasmato il fatto che Huck
Finn, il suo compagno di tante avventure, trascorresse la sua vita su un
albero. Raggiunta, dopo non poche tribolazioni, la prima base del tronco, dopo
ampia disamina, abbandonai l’idea di emulare il vagabondo americano. Il motivo
della rinuncia era dovuto alla difficoltà di riuscire a sistemare assi stabili
per l’edificazione della dimora aerea. Al suo solido tronco si appoggiava la
scala sulla quale si spaccava il maiale: operazione abbastanza semplice per gli
adulti che usavano la scure con la perizia di veri maestri. I suoi rami hanno
ascoltato discussioni di sedicenni che si affacciavano alla vita saggiando le
proprie competenze comunicative. Le sue fronde non hanno mai diffuso i
contenuti dei discorsi con le coetanee che avevano ottenuto i primi permessi
per trascorrere una giornata con i ragazzi fuori dal paese. Feste di battesimi,
cresime, festicciole antecedenti e seguenti ai matrimoni: ricordarle tutte
sarebbe problematico, ma sono sicuro che l’animo dell’olivo, che è per natura
sensibile e attento, le rivive quasi compiaciuto. Eppure la sua memoria
annovera momenti di tristezza. Un anno la furia del maestrale si abbatté sulla
nostra isola con particolare violenza. In paese tetti scoperchiati, muretti
abbattuti, contenitori di plastica dei rifiuti e fogli di carta disseminati
lontano dal luogo di provenienza. Mentre mi recavo in campagna avvertivo una
strana trepidazione: al mio arrivo mi resi conto che le raffiche avevano
sfregiato l’albero tranciando due rami portanti. Il tempo ha cancellato le
ferite inferte dalla natura matrigna. Una volta fu la mano di un ragazzino a
sfrondare orribilmente la monumentalità della pianta. Avevo sentito dire che
l’olivo per produrre aveva necessità di potature drastiche. Armato di scure,
approfittando dell’assenza dei miei, procedetti, con piglio deciso, nell’opera
di sfrondatura. Massacrai la pianta lasciando qua e là tristi e sconfortati
monconi. “La forestale, se venisse a conoscenza del fatto, ti arresterebbe” mi
redarguì mio padre. Osservai l’olivo e mi sembrò che avesse nei miei confronti
una carducciana “gentile pietade” e temperasse la propria “ira”: nutriva
comprensione per l’iniziativa improvvida di uno sconsiderato. Qualche tempo fa,
ho fatto trasportare accanto al tronco un megalite di granito che funge da
seduta. Mi piace sostare sulla nuda pietra, talvolta chiudo gli occhi e mi
immergo nelle fantasie più diversificate. Trovo intelligenti le riflessioni
condivise con un animo pluricentenario che, di volta in volta, è prodigo di
insegnamenti. L’ultimo in ordine di tempo: ama la natura, rispettala e
considerala parte di te.
venerdì 31 luglio 2015
giovedì 30 luglio 2015
Luoghi comuni
Vatti a fidare dei luoghi
comuni. Uno crede di conoscere, attraverso poche scarne note, una situazione,
ed ecco la stessa assume, a seconda di nuovi riscontri, un profilo nettamente
diverso. Gli errori più significativi si compiono quando si cerca di
generalizzare sui comportamenti delle popolazioni. Gli svizzeri, ad esempio,
non sono molto simpatici in terra italiana. Atteggiamento sprezzante e aria di
superiorità hanno alienato loro molte simpatie sul suolo patrio. Ogni tanto
alcuni atti contribuiscono ad alimentare questi convincimenti. Qualche anno fa,
ad esempio, un manifesto pubblicitario, di chiara matrice razziale, paragonava
gli stagionali italiani a dei topi che rosicchiano, attraverso il proprio
lavoro e i relativi emolumenti, il formaggio svizzero. La metafora non è stata
apprezzata; l’obiettivo dei nostri cugini perfettamente conseguito. In questi
giorni il governo del Canton Ticino ha richiesto l’estratto del casellario
giudiziario ai circa 60 mila frontalieri italiani che lavorano oltralpe. Una
iniziativa palesemente discriminatoria che lede i diritti di lavoratori che,
con le loro prestazioni di lavoro, contribuiscono a mantenere alto il prodotto
interno lordo del paese elvetico. Questa decisione viola, inoltre, le leggi
europee in materia di libera circolazione delle persone. Il governo italiano ha
denunciato "la violazione dell'accordo europeo sulla libera circolazione
dei cittadini, palesemente discriminatoria nei confronti di cittadini italiani
e in contraddizione con l'eccellente stato delle relazioni bilaterali". Il
documento, redatto dal segretario generale della Farnesina, richiede l'impegno
di Berna "a porre fine a una situazione che suscita profonda
insoddisfazione in Italia". Attendiamo l’epilogo della disputa. Nelle
cronache dei giornali e delle testate televisive è contestualmente riportata
una notizia che suscita ammirazione e nel contempo apprezzamento. Il campione
svizzero di tennis Roger Federer ha investito circa 12 milioni di euro negli
ultimi anni per costruire 81 scuole materne nei paesi più poveri del continente
africano e per ristrutturarne altre 400. Il tutto nella più assoluta
discrezione; soltanto l’entità dell’investimento ha originato la diffusione
della notizia. Il progetto, iniziato nel 2011 prevede una continuità decennale
degli investimenti e interessa diversi paesi, quasi tutti africani: Botswana,
Malawi, Namibia, South Africa, Zambia, Zimbabwe. Le prime risorse sono state
impiegate nel paese natale del campione dove sono già attivi 15 tipologie di
questo programma. Le scuole realizzate hanno consentito la frequenza di 21
5mila bambini. L'obiettivo, dichiarato, è di arrivare al milione di bambini
entro il 2018. Roger Federer, oltre ad essere considerato quasi unanimemente il
campione dei campioni, è un raro esempio di compostezza, di signorilità, di
eleganza e di educazione. Gli stessi avversari gli riconoscono queste qualità
divenute ormai leggendarie non solo nei campi di tennis. Questi due esempi
comprovano che è già tanto difficile conoscere sé stessi: estendere giudizi,
opinioni, valutazioni a gruppi di persone, risulta quanto mai arduo perché si
rischia di rimanere vittime di pregiudizi. Rumeni, migranti, cinesi, rom,
meridionali, settentrionali, tedeschi, svizzeri, italiani: ad ogni termine
potrebbe essere associata una o più aggettivazioni positive o negative.
Nessuna, però, avrebbe i caratteri di rigore scientifico. Categorie troppo
vaste non possono essere utilizzate per spiegare fenomeni, a meno che non si
vogliano esprimere giudizi generici e infondati.
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