venerdì 31 luglio 2015

Caro olivo ti scrivo...così mi distraggo un po'

Avrà trecento anni” afferma decisamente il perito agrario. “Scherzi” - replica l’esperto in potatura “Avrà almeno cinquecento anni; esamina attentamente lo spessore del tronco e mi darai ragione”. Osservavo divertito il dialogo sorto tra due specialisti in merito all’età di un monumentale olivo che si staglia di fronte all’ingresso della mia abitazione di campagna. La maestosità dell’albero colpisce anche l’osservatore più distratto. Avrebbe potuto tranquillamente trovare accoglienza nel catalogo, pubblicato anni fa a cura della regione sarda, nel quale erano censiti i “Monumenti arborei” presenti in Sardegna. Nel raggiungere il sito è il primo elemento che noto e mi piace immaginare che svolga quasi una funzione di vigilanza e di protezione sulla dimora. Penso che, questo simbolo di sacralità e di pace, sia un po’ individualista perché svetta su tutte le piante vicine; talvolta ravviso una sorta di esibizionismo dovuto all’isolamento quasi superbo che emana con la sua stazza. Sotto la sua ampia ombra si sono svolte alcune delle pagine più felici della mia vita. Da piccolo non era infrequente sistemare i tavolini accanto al tronco per consumare la merenda nelle assolate serate estive. Il pane cotto nel forno, la ricotta e il formaggio derivate dal latte delle pecore al pascolo, la salsiccia di carne del maiale allevato con le ghiande costituivano gli alimenti abituali e ricchi di profumi. Raggiungere la prima biforcazione dei rami è stata un’esperienza indimenticabile. Avevo letto le avventure di Tom Sawyer e mi aveva colpito ed entusiasmato il fatto che Huck Finn, il suo compagno di tante avventure, trascorresse la sua vita su un albero. Raggiunta, dopo non poche tribolazioni, la prima base del tronco, dopo ampia disamina, abbandonai l’idea di emulare il vagabondo americano. Il motivo della rinuncia era dovuto alla difficoltà di riuscire a sistemare assi stabili per l’edificazione della dimora aerea. Al suo solido tronco si appoggiava la scala sulla quale si spaccava il maiale: operazione abbastanza semplice per gli adulti che usavano la scure con la perizia di veri maestri. I suoi rami hanno ascoltato discussioni di sedicenni che si affacciavano alla vita saggiando le proprie competenze comunicative. Le sue fronde non hanno mai diffuso i contenuti dei discorsi con le coetanee che avevano ottenuto i primi permessi per trascorrere una giornata con i ragazzi fuori dal paese. Feste di battesimi, cresime, festicciole antecedenti e seguenti ai matrimoni: ricordarle tutte sarebbe problematico, ma sono sicuro che l’animo dell’olivo, che è per natura sensibile e attento, le rivive quasi compiaciuto.  Eppure la sua memoria annovera momenti di tristezza. Un anno la furia del maestrale si abbatté sulla nostra isola con particolare violenza. In paese tetti scoperchiati, muretti abbattuti, contenitori di plastica dei rifiuti e fogli di carta disseminati lontano dal luogo di provenienza. Mentre mi recavo in campagna avvertivo una strana trepidazione: al mio arrivo mi resi conto che le raffiche avevano sfregiato l’albero tranciando due rami portanti. Il tempo ha cancellato le ferite inferte dalla natura matrigna. Una volta fu la mano di un ragazzino a sfrondare orribilmente la monumentalità della pianta. Avevo sentito dire che l’olivo per produrre aveva necessità di potature drastiche. Armato di scure, approfittando dell’assenza dei miei, procedetti, con piglio deciso, nell’opera di sfrondatura. Massacrai la pianta lasciando qua e là tristi e sconfortati monconi. “La forestale, se venisse a conoscenza del fatto, ti arresterebbe” mi redarguì mio padre. Osservai l’olivo e mi sembrò che avesse nei miei confronti una carducciana “gentile pietade” e temperasse la propria “ira”: nutriva comprensione per l’iniziativa improvvida di uno sconsiderato. Qualche tempo fa, ho fatto trasportare accanto al tronco un megalite di granito che funge da seduta. Mi piace sostare sulla nuda pietra, talvolta chiudo gli occhi e mi immergo nelle fantasie più diversificate. Trovo intelligenti le riflessioni condivise con un animo pluricentenario che, di volta in volta, è prodigo di insegnamenti. L’ultimo in ordine di tempo: ama la natura, rispettala e considerala parte di te.     


giovedì 30 luglio 2015

Luoghi comuni

Vatti a fidare dei luoghi comuni. Uno crede di conoscere, attraverso poche scarne note, una situazione, ed ecco la stessa assume, a seconda di nuovi riscontri, un profilo nettamente diverso. Gli errori più significativi si compiono quando si cerca di generalizzare sui comportamenti delle popolazioni. Gli svizzeri, ad esempio, non sono molto simpatici in terra italiana. Atteggiamento sprezzante e aria di superiorità hanno alienato loro molte simpatie sul suolo patrio. Ogni tanto alcuni atti contribuiscono ad alimentare questi convincimenti. Qualche anno fa, ad esempio, un manifesto pubblicitario, di chiara matrice razziale, paragonava gli stagionali italiani a dei topi che rosicchiano, attraverso il proprio lavoro e i relativi emolumenti, il formaggio svizzero. La metafora non è stata apprezzata; l’obiettivo dei nostri cugini perfettamente conseguito. In questi giorni il governo del Canton Ticino ha richiesto l’estratto del casellario giudiziario ai circa 60 mila frontalieri italiani che lavorano oltralpe. Una iniziativa palesemente discriminatoria che lede i diritti di lavoratori che, con le loro prestazioni di lavoro, contribuiscono a mantenere alto il prodotto interno lordo del paese elvetico. Questa decisione viola, inoltre, le leggi europee in materia di libera circolazione delle persone. Il governo italiano ha denunciato "la violazione dell'accordo europeo sulla libera circolazione dei cittadini, palesemente discriminatoria nei confronti di cittadini italiani e in contraddizione con l'eccellente stato delle relazioni bilaterali". Il documento, redatto dal segretario generale della Farnesina, richiede l'impegno di Berna "a porre fine a una situazione che suscita profonda insoddisfazione in Italia". Attendiamo l’epilogo della disputa. Nelle cronache dei giornali e delle testate televisive è contestualmente riportata una notizia che suscita ammirazione e nel contempo apprezzamento. Il campione svizzero di tennis Roger Federer ha investito circa 12 milioni di euro negli ultimi anni per costruire 81 scuole materne nei paesi più poveri del continente africano e per ristrutturarne altre 400. Il tutto nella più assoluta discrezione; soltanto l’entità dell’investimento ha originato la diffusione della notizia. Il progetto, iniziato nel 2011 prevede una continuità decennale degli investimenti e interessa diversi paesi, quasi tutti africani: Botswana, Malawi, Namibia, South Africa, Zambia, Zimbabwe. Le prime risorse sono state impiegate nel paese natale del campione dove sono già attivi 15 tipologie di questo programma. Le scuole realizzate hanno consentito la frequenza di 21 5mila bambini. L'obiettivo, dichiarato, è di arrivare al milione di bambini entro il 2018. Roger Federer, oltre ad essere considerato quasi unanimemente il campione dei campioni, è un raro esempio di compostezza, di signorilità, di eleganza e di educazione. Gli stessi avversari gli riconoscono queste qualità divenute ormai leggendarie non solo nei campi di tennis. Questi due esempi comprovano che è già tanto difficile conoscere sé stessi: estendere giudizi, opinioni, valutazioni a gruppi di persone, risulta quanto mai arduo perché si rischia di rimanere vittime di pregiudizi. Rumeni, migranti, cinesi, rom, meridionali, settentrionali, tedeschi, svizzeri, italiani: ad ogni termine potrebbe essere associata una o più aggettivazioni positive o negative. Nessuna, però, avrebbe i caratteri di rigore scientifico. Categorie troppo vaste non possono essere utilizzate per spiegare fenomeni, a meno che non si vogliano esprimere giudizi generici e infondati.